Il film “Storia di un matrimonio” è l’occasione cinematografica per parlare dei reati afferenti alle condotte poste in essere fra coniugi ed ex coniugi, enucleati dagli artt. 570 e 570 bis del codice penale.
La prima parte la trovate a questo link sulla pagina Facebook dello Studio Legale.
Con l’espressione “violazione degli obblighi di assistenza familiare” si intendono le fattispecie penalmente sanzionate dagli artt. 570 e 570bis c.p.
Visto che trattasi di un articolo per non addetti ai lavori, passerò all’esame delle condotte più frequenti nella prassi.
Il primo comma dell’art. 570 c.p.: l’abbandono del domicilio domestico.
Sussiste la condotta di abbandono del domicilio domestico, nel caso in cui il coniug lo abbandona illegittimamente, sottraendosi agli obblighi derivanti dalla coabitazione nei confronti del coniuge o di coloro che sono soggetti alla sua potestà.
Sull’argomento, è punita anche la condotta che manifesta la volontà di abbandonare il domicilio domestico in modo improvviso e definitivo, intento desumibile anche dalla condotta immediatamente susseguente.
Tali obblighi di coabitazioni permangono sinchè non intervenga una pronunzia che sancisca l’invalidità ovvero lo scioglimento del matrimonio. Naturalmente, però, il venir meno del vincolo coniugale, non può assolutamente incidere sui figli.
La dilapidazione del patrimonio.
La seconda modalità mediante la quale può essere integrato il delitto di violazione degli obblighi di assistenza familiare è costituita dalla malversazione o dilapidazione di beni del figlio minore ovvero del coniuge.
Secondo quanto disposto dall’art. 649 c.p., vi è la non punibilità per il coniuge non legalmente separato, l’ascendente o il discendente o l’affine in linea retta, l’adottante o l’adottato, il fratello o la sorella conviventi con la persona offesa.
Omissione versamento mezzi di sussistenza ai figli.
L’ultima ipotesi prevista dall’art. 570 c.p. è quella relativa alla violazione dell’obbligo di prestare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, ovvero inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge, il quale non sia legalmente separato (per colpa).
Tale ipotesi è quella che più frequentemente si presenta nella prassi giudiziaria.
La previsione pone immediatamente il problema della differenza tra mezzi di mantenimento ed alimenti.
Per «mezzi di sussistenza» deve intendersi ciò che è strettamente indispensabile all’esistenza, indipendentemente dalle condizioni sociali o di vita pregressa degli aventi diritto, come il vitto, l’abitazione, i canoni per le utenze indispensabili, i medicinali, le spese per l’istruzione dei figli, il vestiario.
Quindi sono compresi tra questi non solo i mezzi per la sopravvivenza vitale (quali il vitto e l’alloggio), ma anche gli strumenti che consentano, in rapporto alle reali capacità economiche e al regime di vita personale del soggetto obbligato, un sia pur contenuto soddisfacimento di altre complementari esigenze della vita quotidiana (quali, ad es., abbigliamento, libri di istruzione per i figli minori, mezzi di trasporto, mezzi di comunicazione).
E’ importante evidenziare come l’inosservanza, anche parziale, non importa automaticamente l’insorgere del reato. Affinchè sussistano i presupposti per l’applicabilità delle fattispecie de qua, è necessario che gli aventi diritto all’assegno alimentare si trovino in stato di bisogno; che l’obbligato ne sia a conoscenza; che l’obbligato sia in grado di fornire i mezzi di sussistenza.
Particolarmente evidente è la differenza con riferimento ai figli maggiorenni.
Per questi, la mancata corresponsione dei mezzi di sussistenza a figli maggiorenni non inabili a lavoro, anche se studenti, non integra il reato in questione. Ciò in quanto l’onere di prestare i mezzi di sussistenza, penalmente sanzionato, ha infatti un contenuto soggettivamente e oggettivamente più ristretto di quello delle obbligazioni previste dalla legge civile.
I figli maggiorenni, nati dal matrimonio, allo stato della legislazione vigente, potranno trovare tutela penale, ai sensi dell’art. 570 bis c.p.
Per il minore, invece, vi è la presunzione che non sia capace di provvedere a se stesso, suscettibile di essere superata laddove il minore disponga di redditi patrimoniali.
Quando un genitore che non commette la condotta, non può essere punito penalmente?
L’obbligo di assistenza incombente sul genitore viene meno solo nel caso di incolpevole e temporanea difficoltà economica, la quale determini una situazione di indisponibilità di introiti sufficienti a soddisfare, in maniera adeguata e congrua, le esigenze vitali dei figli e del coniuge separato.
Purtroppo, spesso in questo tipo di fattispecie si combatte “la guerra dei poveri”, in quanto da un lato vi sono dei figli minori privi di mezzi di sostentamento e dall’altro un genitore a sua volta privo di reddito.
Naturalmente, occorre distinguere i casi in cui tale capacità di reddito è preordinata al tentativo di sottrarsi al mantenimento dei figli e/o del coniuge da quelli in cui manchi una vera e propria capacità economica dell’obbligato.
Sull’argomento, la Corte di Cassazione ha precisato che, ai fini di sanzionarne penalmente l’inadempimento (art. 570, comma 2 n. 2, c.p.), è necessario che la mancata corresponsione delle somme dovute sia da attribuire all’indisponibilità persistente, oggettiva e incolpevole di introiti sufficienti a soddisfare le “esigenze minime di vita.
In buona sostanza, l’imputato deve provare che le difficoltà addotte siano tali da determinare una vera e propria situazione di indigenza economica, tale da configurare un impedimento assoluto ad adempiere.
570 bis c.p. per omesso mantenimento dopo separazione o divorzio
“Chiunque, abbandonando il domicilio domestico, o comunque serbando una condotta contraria all’ordine o alla morale delle famiglie, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla responsabilità genitoriale o alla qualità di coniuge, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da centotre euro a milletrentadue euro”.
Non siamo in presenza di una semplice omissione di pagamento dell’assegno stabilito dal giudice, ma di una omissione intenzionalmente preordinata a privare materialmente il coniuge, o i figli, dei mezzi di sussistenza primaria, creando in tal modo una condizione di disagio in relazione alle basilari esigenze della vita quotidiana.
Quindi, il mancato pagamento dell’assegno di mantenimento in favore del coniuge beneficiario, o dei figli, integra di per sé il reato di cui si discorre, tuttavia è necessario verificare la capacità effettiva del coniuge obbligato di dare attuazione concreta all’obbligazione imposta, che l’omissione abbia effettivamente privato i beneficiari dei mezzi di sopravvivenza e che la violazione sia addebitabile all’esclusiva e colposa volontà dell’obbligato e non ad una certa impossibilità di adempiervi.
Da tale impostazione ne discende che, ai fini della inapplicabilità delle sanzioni previste dal reato integrato, l’incapacità economica dell’obbligato, intesa come impossibilità oggettiva di far fronte agli adempimenti sanciti dal provvedimento giudiziale, a seguito di separazione o divorzio, deve configurarsi, dunque, come un’assoluta, persistente, ed incolpevole indisponibilità di introiti economici. Al contrario, laddove si accerti che nel periodo in cui si era verificato l’inadempimento l’obbligato avesse percepito somme, seppur modeste, omettendo comunque di garantire il sostentamento sancito giudizialmente, il giudice deve dare applicazione alle pene previste dalla legge.
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