Il film Detroit, trasposizione dei fatti realmente accaduti nella città americana nel 1967, sono incredibilmente sovrapponibili a quanto oggi stiamo vedendo negli Stati Uniti dopo il caso di George Floyd.
Si può leggere la trama sulla Pagina Fb dello Studio a questo link.

Esso rappresenta la giusta occasione “filmica” per poter affrontare il tema attualissimo dell’uso della forza da parte degli organi di polizia ed allo stesso tempo capirne i limiti e le condizioni di abuso.

Innanzitutto bisogna dire che nel nostro ordinamento non esiste un reato a sé stante di abuso d’autorità, ma piuttosto esso è un parametro che se ricorre fa “scattare” il verificarsi di alcuni reati da parte delle forze di polizia.

I classici casi di “abuso” sono, ad esempio, l’arresto illegale, che si verifica quando un pubblico ufficiale effettua un arresto fuori dai casi stabiliti dalla legge e punisce il p.u. con una reclusione fino a tre anni.
Altro caso tipico di abuso è quello commesso nei confronti di persone già arrestate o detenute, come proprio il caso di George Floyd; in questi casi il p.u. una volta ammanettato il soggetto, deve solo sorvegliare l’esecuzione della misura restrittiva.
Qualora pone in essere atti ulteriormente e inutilmente lesivi della libertà altrui, ad esempio legandolo ad una sedia o bendandolo (ricordiamo il famoso caso di cronaca presso la Questura di Roma dove un cittadino venne bendato), può andare incontro ad una reclusione fino a 30 mesi.
Chiaramente, esclusa la circostanza in cui si realizzi una fattispecie ancor più grave, come l’omicidio volontario nel caso Floyd o, ad esempio, il reato di tortura per la sottoposizione di trattamenti inumani nei confronti di chi è già arrestato.

Altri casi attengono alle perquisizioni ed ispezioni arbitrarie, le quali si verificano quando non ci sono i presupposti di legge per effettuare queste operazioni invasive della libertà altrui in urgenza, ossia quando il p.u. le mette in atto in assenza del decreto di autorizzazione dell’autorità giudiziaria (PM e poi GIP) oppure se contestano una flagranza di reato, circostanza che consente la perquisizione, che in realtà non sussiste.

Venendo al dettaglio, l’uso della forza da parte dei pubblici ufficiali è consentita dall’art. 53 c.p., una scriminante che consente al pubblico ufficiale di non rispondere di reati di violenza o di lesioni se nell’adempimento del dovere usano la forza o le armi.
Chiaramente tale scriminante ha la sua genesi nel principio di non contraddizione, ossia quello di far si che l’ordinamento non pretenda, da una parte, che la legge venga fatta rispettare dalla polizia e che poi, al contrario, questi vengano puniti per il loro dovere.
Al riguardo dobbiamo, però, sottolineare che una norma del genere non si ritrova nella maggior parte dei codici europei.

Detto questo, tale scriminante ha ovviamente alcuni limiti, ritrovabili soprattutto nel principio di proporzionalità tra minaccia e difesa.
Tale scriminante è detta propria perché essa è invocabile solo dai pubblici ufficiali appartenenti alla forza pubblica, quindi non da tutti i p.u.
Inoltre, visto che la norma usa le parole di costrizione e necessità, si presume che il p.u. non debba avere alternative all’uso della violenza o delle armi, presunzione ex lege se la polizia debba evitare alcuni reati quale strage, naufragio, disastro, omicidio, rapina a mano armata o sequestro di persona.

L’ostacolo rimovibile solo attraverso l’uso della violenza deve essere inteso, appunto, come violenza da parte del privato cittadino, anche in senso psicologico o di resistenza, non ritenendosi però sufficiente il diniego a declinare le proprie generalità ai fini dell’uso della violenza.
Insomma, il personale di polizia può usare la violenza quando è costretto a scegliere fra l’adempimento del proprio dovere e la desistenza.

Qualora il pubblicO ufficiale ecceda l’uso della forza, ad esempio andando oltre ciò che era necessario, potrà rispondere di eccesso colposo ex art. 55 c.p.
Così come non opererà tale scriminante se il poliziotto usa le armi quando poteva bastare un uso di altri mezzi di coazione meno offensivi quale manganello o gas lacrimogeni.

La valutazione, ovviamente, va fatta caso per caso, solo in concreto e con le circostanze specifiche potrà accettarsi, quindi, la proporzionalità.
Chiaramente l’eccesso colposo non esclude che siano realizzati altri reati, come ad esempio nel caso Chucchi o Androvaldi.

Nel caso del film “Detroit” è evidente che molteplici sono i reati che hanno portato alla morte dei 3 ragazzi del Motel, potendosi ritrovare non solo l’uso illegittimo della forza, ma anche la violenza psicologica e fisica, ai limiti del reato di tortura, e gli omicidi dolosi (e non colposi di certo) dei ragazzi, i quali purtroppo non hanno avuto giustizia.

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