“Parola ai giurati”, di Lumet parla di un processo per un caso di omicidio visto dal punto di vista della Giuria;
la trama del film ed il caso di diritto è stato già esposto sulla pagina FB raggiungibile a questo link.

Il film è l’occasione per parlare della Giuria, per capire il suo funzionamento nei sistemi di common law e soprattutto se esista, in qualche forma, un qualcosa di simile nel nostro ordinamento.

Tutti noi, abituati a vedere i film di Hollywood, vediamo l’Avvocato difensore rivolgersi direttamente ai giurati, cercando di fare leva sull’emozione, sul pathos, sull’empatia, per portarli dalla propria parte e condizionare così il verdetto.
Infatti, nei sistemi di common law il vero momento iniziale del processo è la scelta dei giurati; estratti a sorte, vengono sottoposti alle domande degli avvocati di accusa (non esiste un magistrato per la “Pubblica Accusa”) e difesa per estrapolare le loro opinioni ed i loro orientami ed escludere, così, chi ha pregiudizi tali da influenzare un verdetto equo.
Scelti i 12 giurati, questi hanno l’obbligo di stare in isolamento per tutta la durata del processo, senza contatti con l’esterno, in modo da non subire condizionamenti.
Alla fine del dibattimento, questi si riuniscono in camera di consiglio e devono scegliere all’unanimità il verdetto, lasciando poi al giudice di stabilire la pena applicando le norme; il magistrato, inoltre, avrà la responsabilità di dirigere il processo, garantendo equità delle parti, decidento su obiezioni, prove ed eccezioni, soprattutto nell’interrogatorio dei testimoni “cross examination”.

E in Italia?
Il nostro paese, fondatore del sistema del civil law, prevede un processo completamente diverso.
Nel nostro processo non esiste la giuria, eccetto per un caso che vedremo successivamente.
La pubblica accusa è rappresentata da un magistrato e non da un Avvocato di Stato.
Il giudice, come nel common law, regola il processo, decide su eccezioni e obiezioni e regola l’esame dei testimoni.
Tuttavia, esso è il solo depositario della decisione, presa sulla scorta di quanto visto ed assimilato, sugli atti e le prove che entrano a far parte del fascicolo del dibattimento e guidato, in tutte le decisioni, dal codice di procedura; la discrezionalità del giudice, infatti, non è totale ed “in bianco”.

Esistono, tuttavia, in Italia i giudici popolari e li possiamo vedere nella Corte di Assise, la quale ha competenza per i reati gravi e di interesse pubblico, ossia i cd. “delitti di sangue” (strage, omicidio volontario, schiavitù o reati di mafia).
Sei comuni cittadini, estratti a sorte da una lista di cittadini italiani iscritti in un apposito albo, senza distinzioni di sesso e religione, con il solo requisito di avere tra i 30 ed i 65 anni e del diploma di licenza media superiore, affiancano due giudici togati.
Da essi sono esclusi magistrati, funzionari appartenenti all’ordine giudiziario, alle forze armate o a qualsiasi altro organo di polizia e ministri di culto.
I togati ed i “laici” (i giurati italiani) decidono collegialmente, insieme, su tutto ciò che riguarda il processo, decidendo in collegialità su prove ed eccezioni rispetto alla regolarità del processo; solo i togati, invece, regolano l’esame dei testimoni, essendo materia più tecnica e regolata dal codice.
Al termine dell’istruttoria, la Corte decide a maggioranza dei suoi componenti.
Quindi, i 6 giudici popolari esplicano qui tutta la loro autorità, essendo in numero maggiore; nel caso di parità, l’imputato viene assolto.

Come si può diventare “giudici popolari”?
Ogni due anni (anno dispari) i Sindaci del Comune in cui si risiede invitano con manifesti pubblici coloro che sono in possesso dei requisiti e non sono già iscritti negli albi definitivi dei giudici popolari, a chiedere di essere iscritti nell’elenco integrativo dei giudici popolari.
Tali elenchi sono poi trasmetti al presidente del tribunale competente per territorio e vengono poi riuniti in un unico albo.
Successivamente, in pubblica udienza, si procede all’estrazione per sorteggio fino al raggiungimento del numero dei giudici popolari prescritto per ogni Distretto e questi vanno a formare la cd. lista generale, oltre una supplente; i membri di tale lista sono poi obbligati a prestare questo servizio per due anni.
La durata del mandato per il processo vero e proprio è di 3 mesi, salvo prosecuzione dello stesso.
I giudici popolari nominati ricevono un compenso giornaliero stabilito per legge e un rimborso per spese di viaggio se l’Ufficio è prestato fuori del comune di residenza.
Attualmente ai giudici popolari spetta un rimborso di euro 25,82 per ogni giorno di effettivo esercizio della funzione. Per i lavoratori autonomi o lavoratori dipendenti senza diritto alla retribuzione nei giorni in cui esercitano la loro funzione, il rimborso è di euro 51,65 per le prime 50 sedute e di euro 56,81 per le udienze successive.
Per tutte le info è possibile raggiungere la pagina dedicata del Ministero della Giustizia a questo link.

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