Totò, nella famosa scena tratta da Totò Truffa 62’, simula la vendita e la Fontana di Trevi ad un turista americano e la premessa di questo articolo è stata già esposta sulla pagina FB raggiungibile a questo link.

Questa scena è il mezzo per spiegare, in maniera semplificata, il principio di offensività, che sta alla base del Diritto Penale, e capire, quindi, se quella di Totò sia una condotta passibile di reato o se l’americano, molto molto ingenuo, debba “pagare” la sua imprudenza.

Il principio di offensività è, innanzitutto, un principio desunto, nel senso che non esiste esplicitamente nel Codice Penale, bensì viene ricavato dall’art. 49 che definisce il reato cd. impossibile, laddove afferma: “La punibilità è […] esclusa quando […] è impossibile l’evento dannoso o pericoloso”.
Esso subordina la sanzione penale all’offesa di un bene giuridico tanto nella forma della lesione inteso come nocumento effettivo, quanto in quella dell’esposizione a pericolo concepita in termini di nocumento potenziale.
Dal punto di vista della politica criminale, serve quale generale “tolleranza” della devianza, stabilendo uno standard minimo di punibilità e quindi di intervento del Diritto Penale.
Questo, infatti, ha senso ed efficacia laddove funge da extrema ratio, ossia intervenga laddove non possono soccorrere le altre forme di tutela offerte dall’ordinamento; vietare tutto equivale non vietare niente, perché una minima devianza è nell’ordine delle cose.
Pertanto, tale principio serve proprio come ancora per attuare i principi fondamentali del Diritto Penale ed esplicar la sua ragione, e poter così attuare la sua funzione orientativa del nostro comportamento; stabilendo comportamenti illeciti, suggerisce, di converso, cosa possiamo fare ed orienta le nostre condotte, almeno teoricamente, verso le azioni lecite.
In sostanza, il nostro ordinamento accoglie una concezione realistica del reato, nel senso che non basta l’astratta corrispondenza di una condotta alla norma, bensì la concreta capacità di offendere o porre in pericolo il principio che la norma voleva proteggere.

Sulla scorta di queste interpretazione, molte sentenze hanno riconosciuto il reato cd. impossibile in alcune condotte che offendevano la fede pubblica, come ad esempio “falso grossolano” o “falso innocuo”.
Si tratta di casi in cui il soggetto agente ha commesso un falso talmente incredibile da essere inidoneo ad offendere il bene giuridico del falso, la fede pubblica appunto.

Ad esempio?
Tizio stampa un Decreto a firma del Presidente Conte in cui si autorizza Tizio di Paperopoli a poter avere l’immunità e girare per la città.
Un falso talmente clamoroso da non essere reato di falso.
In alcuni casi, è stato assolto chi, soggetto ad autorizzazione regionale per la propria attività, ha falsificato un’autorizzazione comunale; non potendo il comune avere poteri in merito, è un falso innucuo.
Questo perché comunque si prende in considerazione la normale diligenza del soggetto passivo, che nel caso della pubblica amministrazione non può essere normale diligenza, ma adagiata al caso di specie, e sicuramente più elevata.

Basta questo per l’assoluzione di Totò e Peppino e la contestazione del reato di truffa?
Il reato di truffa, per orientamento costante della Corte di Cassazione, richiede l’accertamento dell’idoneità dell’artificio e del raggiro in concreto, ossia con riferimento diretto alla particolare situazione in cui è avvenuto il fatto ed alle modalità esecutive dello stesso; tale idoneità non è perciò esclusa dalla scarsa diligenza della persona offesa nell’eseguirli, quando, in concreto, esista un artificio o un raggiro posto in essere dall’agente e si accerti che tra di esso e l’errore in cui la parte offesa è caduta sussista un preciso nesso di causalità

Come possono organizzare una strategia difensiva Totò e Camillo?
Purtroppo per Totò e Camillo, la loro finzione, per quanto incredibile e assurda ai più, ha in concreto portato loro un ingiusto vantaggio patrimoniale, hanno incassato i 500 mila lire del turista americano a titolo di “finta” caparra.
Tale incasso, inoltre, esclude la configurabilità del tentativo, avendo raggiunto essi lo scopo.
Ma ammettiamo per un attimo che non ci siano le telecamere e che quindi non sia un film, e che quindi nessuno abbia in concreto visto Totò e Peppino intascare la somma.
Agli imputati, e solo a loro, è consentito dal codice di procedura di mentire, quale formale garanzia dell’imputato nell’esplicare il diritto alla difesa.
Al contrario, si dovrebbe assumere che l’imputato debba praticamente sempre confessare.
Ed ovviamente non è così.

Questa chances offerta dall’ordinamento permetterebbe loro di non menzionare l’incasso, anzi di negarlo, e far rientrare dalla finestra, quindi, tutti gli argomenti logici-giuridici sulla grossolanità ed inidoneità della truffa, con un processo tutto da vivere sul filo del rasoio……ed in punta di diritto!

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